Sin dai tempi più remoti l’uomo si è insediato sulle falde del Vesuvio.
Il suolo fertile delle rocce vulcani che, il clima temperato con inverni miti per l’influenza delle correnti fresche e umide che spirano dal mare e le estati calde e secche hanno permesso lo sviluppo di una agricoltura florida e molto varia.
In epoca romana addirittura si ignorava la vera natura del Vesuvio, mentre era ben nota la fertilità delle sue pendici, ricche di minerali e soprattutto di potassio.
La peculiarità dei suoli vulcanici e la particolare conformazione del territorio rendono l’area vesuviana una fonte di prodotti agricoli di straordinaria tipicità, dall’ortofrutta ai vini.
© Giovanni Romano
La vite occupa il posto più importate tra le produzioni agricole vesuviane; fu introdotta in Campania dai Greci oltre 3.000 anni.
Oggi i vitigni maggiormente diffusi sono il Piedirosso, cosidetto “Pere ‘e Palummo”, e la Falanghina, che insieme danno vita al vino Vesuvio rosso e rosato D.O.C.; invece il vitigno Coda di Volpe, chiamato localmente “caprettone”, derivante dalle antiche viti romane della Campania felix, è all’origine del vino bianco D.O.C. tipico della zona.
Dai vitigni Piedirosso e Coda di Volpe si ricava il famoso Lacrima Christi.
Altrettanto famosi sono i frutteti, soprattutto ad albicocche, particolarmente adattate ai suoli vesuviani e presenti con una vasta gamma di varietà dotate tutte di aromi sapori e profumi molto pregiati. Ancora, molto coltivati sono il pero, il melo, il pesco, il ciliegio, il fico, l’olivo, il gelso nero e il gelso bianco.
Infine le specie orticole tipiche dell’area vesuviana, come i famosi Pomodorini del Vesuvio, di piccole dimensioni, tondi, con una caratteristica punta alla base e dal sapore dolce acidulo.
Vengono tipicamente conservati per tutto l’inverno legati ad uno spago avvolto a cerchio e riposti in luoghi asciutti e lontano dai raggi del sole; maturano lentamente, conservando la polpa gustosa, protetta dalla buccia che appassisce. I grappoli di pomodorini così raccolti sono detti piennoli.
Tra gli ortaggi sono da segnalare, oltre ai finocchi e alle fave, i cosidetti friarielli, broccoli dal gusto forte e amarognolo che nella cucina napoletana condiscono pasta, carne e pizza. Per la frutta secca sono eccellenti le noci e le nocciole. Diffusa anche la produzione del miele.
Albicocche
Tra le circa cento cultivar di albicocche esistenti le più conosciute sono la Pellecchiella, che è considerata la migliore per il suo gusto particolarmente dolce e per la compattezza della polpa, la Boccuccia liscia di sapore agro dolce e la Boccuccia spinosa, dalla buccia meno liscia, la Cafona, la Carpone dal sapore zuccherino.
Tra gli altri cultivar, tutti molto gustosi, sono da ricordare: Baracca, Vitillo, Monaco bello, Prete, Palummella.
Ciliegie
meno numerose, sono coltivate per lo più alle falde del Monte Somma.
Tra le più famose ricordiamo la Ciliegia Malizia, con polpa rossa e consistente dal gusto succoso e aromatico, e la Ciliegia del Monte, prodotto PAT considerata la migliore da tavola: si riconosce per la sua buccia di colore giallorosato su di un lato e rosso scuro dall’altro, con punteggiatura gialla, ed ha la polpa chiara, succosa e profumata.
Vesuvio e Lacrima Christi DOC
Questi vini si ottengono da vitigni autoctoni: Coda di Volpe o Caprettone e Verdeca per l’80% con aggiunta di Falanghina e Greco per un massimo del 20% danno vita al Vesuvio Bianco, dal gusto secco e leggermente acidulo; Piedirosso o Palombina o Per’e Palummo e/o Sciascinoso o Olivella per l’80% con aggiunta di Aglianico per un massimo del 20% danno vita al Vesuvio Rosso, con un colore rosso rubino, ed al Vesuvio Rosato, con un colore rosso più o meno inteso, entrambi dal gusto secco e armonico.
I vini prodotti possono denominarsi Lacryma Christi se raggiungono i 12 gradi alcolici. Il vino Lacryma Christi del Vesuvio è uti- lizzato per produrre uno spumante naturale e, limitatamente al bianco, un vino liquoroso.
Catalanesca
Questo vitigno fu importato da Alfonso I d’Aragona nel XV secolo dalla Catalogna, regione spagnola cui deve il nome, per sostituire il vitigno “Greco” distrutto sull’intero versante del Monte Somma da un terribile attacco di pronospora.
Ancora oggi è possibile ammirare torchi che risalgono al 1600 conservati nei cellai delle antiche masserie.
Da questa uva si ricava un buonissimo vino bianco da tavola, a produzione principalmente familiare. Dal 2006 il vitigno è stato ufficialmente aggiunto all’elenco delle uve atte alla vinificazione.
Obiettivo prioritario dell’Ente Parco è il recupero delle matrici agricole del territorio rurale, attraverso il sostegno a diverse iniziative finalizzate alla valorizzazione dei prodotti agricoli tipici dell’area vesuviana